spigolature araldiche

Spigolature araldiche: I Gambacorta ed altre famiglie a Macchia Valfortore
di Franco Valente – 2 novembre 2011

L’occasione per parlare di alcune spigolature araldiche che riguardano Macchia Valfortore nasce dalla necessità di dare una definitiva soluzione al posizionamento di un grande stemma che si trova da tempo collocato, in un contesto che non gli appartiene, sulla facciata di una casa privata nei pressi dell’antico castello detto dei Gambacorta.
La preoccupazione è del sindaco Nicola  Zingaro e me ne ha dato conoscenza Mariella Brindisi.

E’ uno stemma di particolare importanza per la storia feudale del Molise perché legato a  personaggi che hanno avuto parte rilevante nelle vicende del regno di Napoli tra la fine del XVII secolo e il principio del seguente.

Lo stemma è partito ed è di facile lettura perché rappresenta l’unione matrimoniale di due personaggi appartenenti alle due famiglie Gambacorta (a sinistra guardando, ma a destra araldicamente parlando) e Spinelli.

Genericamente la presenza di cartigli geometrici nella decorazione dello scudo e la particolare forma della corona baronale fanno propendere per una datazione collocabile intorno alla metà del XVII secolo. Sicuramente era collocato originariamente sul portale rinascimentale del castello nella occasione della sua sostanziale trasformazione quando i Gambacorta decisero di dare una forma palaziata all’antica struttura difensiva con un corpo di fabbrica che, impiantato sulla precedente struttura, andò a integrarsi con il poderoso mastio che, salvo più precise analisi, potrebbe essere aragonese.

Il primo dei Gambacorta che appare sulla scena locale è quell’Andrea che aveva comprato il feudo di Macchia nel 1618. Costui era stato avviato in gioventù alla carriera religiosa, ma alla morte del padre Carlo (che dal 1589 aveva ricevuto il titolo di Conte di Celenza) aveva rinunciato alla carriera ecclesiastica per ereditare i feudi che appartenevano al padre. Andrea, infatti, sposò Felicia Spinelli marchesa di Fuscaldo. Andrea morì nel 1634.

Se, dunque, le trasformazioni del castello vanno ricondotte al predetto Andrea, non vi sarebbero dubbi nell’attribuire a lui e alla sua moglie Felicia questo stemma.

Ma a complicare l’attribuzione vi è un altro Gambacorta che sposa un’altra Spinelli. Infatti, lo stemma potrebbe appartenere a Francesco Gambacorta (padre di Gaetano – quello della congiura) e di sua moglie Eufemia Spinelli. Francesco morì nel 1694.

Gli stemmi vanno così letti: Gambacorta, di oro al leone fasciato d’argento e di nero, col capo cucito di rosso caricato da una croce ancorata d’oro.
Spinelli, di oro alla fascia di rosso caricata di tre stelle di argento a cinque punte.

Ma se abbastanza chiara è l’interpretazione dello scudo dei Gambacorta-Spinelli, più complessa è quella relativa a due scudi che si trovano nei pressi della porta detta di S. Nicola, subito fuori di essa. Per ambedue è stata operata una “damnatio memoriae” con la cancellazione degli elementi di riconoscimento, ma la forma a testa di cavallo permette di ricondurli ad un periodo che va dalla fine del XV secolo alla metà di quello seguente.

Il primo conserva la sua collocazione originale anche se la facciata della casa è stata sostanzialmente trasformata fino al punto che un ballatoio esterno ne ha coperto la parte superiore. Sebbene sia stato abraso per cancellarne i caratteri araldici sembra di potervi riconoscere una banda che lo attraversa. Potrebbe trattarsi di quanto rimane dello stemma dei de Regina il cui blasone era uno scudo di rosso alla banda di oro caricata di tre rose di rosso. Delle tre rose non rimane traccia.

L’ipotesi bene si adatterebbe alla presenza di questa famiglia i cui componenti ottennero anche il titolo di conti di Macchia e furono feudatari del luogo proprio ai primi del XVI secolo.

Conseguentemente agli stessi de Regina potrebbe essere attribuito l’altro stemma che appare su un blocco erratico a pochi metri dal primo ed utilizzato come base di un rozzo sedile. Qui la cancellazione è stata più radicale e a malapena si riconosce il profilo dello scudo, mentre sono ben conservate le fettucce ornamentali a doppia S che lo decorano.

Il blasone dei de Regina, invece, appare ripetutamente all’interno della chiesa di S. Nicola perché Gaspare de Regina e sua moglie Lucrezia Caracciolo contribuirono alla realizzazione di una cappella laterale della chiesa e al rifacimento dei pilastri che separano le tre navate.

La cappella laterale fu dedicata a S. Caterina d’Alessandria, come ricorda l’epigrafe del 1520 posta sulla lesena di uno dei piedritti rinascimentali: GASPAR DE REGINA ET LVCRETIA CARACCIOLA CONIVGES DIVAE CATHERINAE DICARVNT ANNO VIRGINEI PARTVS MDXX.
Lo stemma a testa di cavallo appare nella parte superiore dell’arco ed è partito, con la banda caricata delle tre rosette per i de Regina e con il leone rampante dei Caracciolo. La coda del leone, però, ha una forma anomala rispetto a quella consueta nel blasone dei Caracciolo, perché la punta non è girata secondo il solito all’incontrario.

Nella stessa forma i due blasoni accoppiati in uno appaiono su un pilastro della navata.

Invece lo stemma dei Caracciolo con il leone dalla coda rigirata all’interno appare sulla destra della nicchia trecentesca, trilobata alla gotica, che nel coro retrostante l’altare barocco accoglie il simulacro di S. Michele. Dell’epigrafe rimangono poche ed incomprensibili lettere. Sulla sinistra appare un altro stemma che appartiene ai Brancamonte della cui presenza a Macchia Valfortore non parlano le cronache feudali e che furono feudatari a Palata e Tavenna, dove troviamo un Alvaro di Brancamonte alla metà del XVI secolo e un Ferrante Brancamonte nel 1648.

Invece, all’interno della cappella di S. Caterina, un altro stemma dei Gambacorta, questa volta partito con quello dei Caracciolo-Rossi, permette di sapere a chi debba essere attribuita la realizzazione del sontuoso altare ligneo, orribilmente snaturato a seguito di un furto sacrilego.
Qui lo stemma dei Caracciolo-Rossi è costituito da uno scudo bandato d’oro e di rosso al capo di azzurro.
Si tratta del blasone che si riferisce all’unione matrimoniale di Carlo (junior) Gambacorta  che, marchese di Celenza e conte di Macchia, nel 1641 era stato insignito del titolo di principe di Macchia. Aveva sposato Faustina Caracciolo, figlia del marchese di Brienza.
Carlo fu protagonista di una drammatica mortale aggressione nel 1647 nei pressi di Arpaia mentre fuggiva da Napoli dove aveva partecipato agli avvenimenti conseguenti alla rivolta di Masaniello. Gli assassini furono catturati dal principe di Montesarchio e immediatamente fucilati.

Sulla fascia apicale dell’altare, a destra e sinistra della Ianua Coeli con l’immagine del Padreterno benedicente, le insegne araldiche sono ripetute due volte e gli scudi sono sormontati dalle corone di principe mantenute da coppie di angeli che portano contemporaneamente una corona di alloro.

Dunque, sulla scorta degli elementi sopra richiamati, è probabile che l’altare sia stato realizzato proprio nella concomitanza dell’attribuzione del titolo di principe di Macchia nel 1641.